Totò

Totò

Totò, nome d'arte di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, più semplicemente Antonio De Curtis (Napoli, 15 febbraio 1898 – Roma, 15 aprile 1967), è stato un attore, commediografo, paroliere, poetae sceneggiatore italiano. Attore simbolo del cinema comico in Italia, soprannominato «il principe della risata». È considerato uno dei più grandi interpreti nella storia del teatro e del cinema italiano.

Nato da una relazione segreta tra Anna Clemente e dal marchese Giuseppe De Curtis, fu adottato nel 1933 dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas.Totò spaziò dal teatro, con oltre cinquanta titoli, al cinema, con 97 film interpretati dal 1937 al 1967, e alla televisione, con una serie di nove telefilm diretti da Daniele D'Anza . I suoi film, visti da oltre 270 milioni di spettatori,un primato non ancora battuto nella storia del cinema italiano, riscuotono ancora oggi grande successo, e talune sue battute e gag sono diventate perifrasi entrate nel linguaggio comune. Concluse la sua vita in condizioni di quasi cecità, per una grave forma di corioretiniteprobabilmente aggravata dalla lunga esposizione ai fari di scena.

Totò all'eta di 8 anniTotò nacque il 15 febbraio 1898 a Napoli nel rione Sanità (un dei  quartiere più antico della città), i da una relazione clandestina di Anna Clemente con Giuseppe De Curtis che, in principio, per tenere segreto il legame, non lo riconobbe, risultando per l’anagrafe "figlio di N.N.".Fin da bambino dimostrò una forte vocazione artistica che gli impediva di dedicarsi allo studio, cosicché dalla quarta elementare fu retrocesso in terza. Ciò non gli creò imbarazzo, anzi intratteneva spesso i suoi compagni di classe con piccole recite, esibendosi con smorfie e battute.Da ragazzo riempiva spesso le sue giornate osservando di nascosto le persone, in particolare quelle che gli apparivano più eccentriche, cercando di imitarne i movimenti, e facendosi attribuire così il nomignolo di «'o spione».Cosa che lo  aiuto in seguito a interpretare i suoi personaggi nella sua lunga carriera.

Terminate le elementari, venne iscritto al collegio Cimino.Nel collegio non fece progressi, decise di abbandonare prematuramente gli studi senza ottenere. In seguito dovette  frequentare la parrocchia come chierichetto perchè la madre  tentò di introdurlo come sacerdote anche è perchè non era favorevole che il figlio diventasse un artista, ma incoraggiato dai primi piccoli successi nelle recite in famiglia e attratto dagli spettacoli di varietà, nel 1913, iniziò a frequentare i teatrini periferici esibendosi,con lo pseudonimo di "Clerment", in macchiette e imitazioni del repertorio di Gustavo De Marco, un interprete napoletano dalla grande mimica e dalle movenze snodate, simili a quelle d'un burattino. Proprio su quei palcoscenici di periferia incontrò attori come Eduardo De Filippo, Peppino De Filippo e i musicisti Cesare Andrea Bixio e Armando Fragna.

Nel 1921 il marchese Giuseppe de Curtis riconobbe Totò e sposò la madre.L’anno seguente la famiglia si trasferì a Roma, dove Totò, con la disapprovazione totale dei genitori, fu scritturato come "straordinario" ,cioè un elemento da utilizzare occasionalmente e senza nessun compenso , nella compagnia dell'impresario Umberto Capece.In quel periodo Totò si guadagnò un particolare apprezzamento dal pubblico impersonando sul palco l'antagonista di Pulcinella.Trovandosi in gravi problemi finanziari chiese qualche moneta all'impresario Capece che, in modo esageratamente brusco e inaspettato, lo esonerò e lo sostituì all'istante con un altro "straordinario".In quel breve periodo di disoccupazione sbarcava il lunario esibendosi in piccoli locali; nel corso di quelle esperienze, decise di puntare al genere teatrale a lui più congeniale: il varietà.

 

toto negli anni 20

L'attore iniziò a ponderare l'idea di esibirsi da solo e dunque decise di mantenere come modello d'ispirazione Gustavo De Marco , che Totò

, esercitandosi davanti allo specchio, riusciva ad imitare senza particolari sforzi. Appena sentitosi pronto, decise di tentare al Teatro Ambra Jovinelli, che al tempo era la massima rappresentazione dello spettacolo di varietà, dove erano passati artisti come Ettore Petrolini, Raffaele Viviani, Armando Gill, Gennaro Pasquariello, Alfredo Bambi e lo stesso De Marco. Emotivamente teso, si presentò al titolare del teatro Giuseppe Jovinelli, un uomo rude,il breve colloquio andò inaspettatamente bene e Totò, per sua gioia e incredulità, venne preso. Debuttò con tre macchiette di De Marco: Il bel CiccilloVipera e Il Paraguay, che ebbero un buon successo di pubblico e un impensabile entusiasmo da parte di Jovinelli. Il comico firmò un contratto prolungato col titolare, che lo usò spesso in varie parti dello spettacolo.

I successi ottenuti al teatro non compensava però lo stile di vita dell’artista: la paga era molto bassa e non poteva neanche permettersi abiti eleganti e accessori raffinati  o un taglio di capelli caratteristico come quelle d iRodolfo Valentino. In quell’arco di tempo fece appunto amicizia con un barbiere, Pasqualino, il quale, avendo conoscenze in campo teatrale e impietosito dalla situazione del giovane Totò, riuscì a farlo scritturare da Salvatore Cataldi e Wolfango Cavaniglia al Teatro Sala Umberto I.La sera dell'esordio l’attore diede il meglio di sé, lasciandosi andare in mimiche facciali, piroette, doppi sensi e le immancabili macchiette di Gustavo De Marco. Tra grida di bis ed applausi,l’esperienza al salone Umberto I segnò per Totò l’affermazione definitiva nello spettacolo di varietà.

Tra il 1923 e il 1927 si esibì nei principali caffè-concerto italiani, facendosi conoscere anche a livello nazionale. Grazie ai maggiori guadagni, poté finalmente permettersi di vestire abiti eleganti e di curare maggiormente il suo aspetto fisico, con i capelli impomatati e le desiderate basette alla Rodolfo Valentino; fu un periodo roseo soprattutto per quanto riguarda le donne, con le quali ebbe una serie di avventure tanto che acquisì presto il titolo di un vero «sciupafemmene».

Nel 1927 fu scritturato da Achille Maresca, titolare di due diverse compagnie; Totò entrò a far parte prima della compagnia di cui era primadonna Isa Bluette, una delle soubrette più in voga del periodo, e poi, dal 1928 di quella di Angela Ippaviz. Nella prima compagnia conobbe Mario Castellani, destinato a diventare in seguito una delle sue "spalle" più fedeli ed apprezzate.In seguito mentre si trovava a La Spezia con la compagnia di Achille Maresca, venne contattato dal barone Vincenzo Scala, il titolare del botteghino del teatro Nuovo di Napoli, che fu mandato dall’impresario Eugenio Aulicio per scritturarlo come "vedette" in alcun spettacoli diMario Mangini e di Eduardo Scarpetta, tra cui Miseria e nobiltàMessanina e I tre moschettieri (dove impersonò d'Artagnan), accanto aTitina De Filippo.

I sucessi  professionali dell'attore non andavano però di pari passo con quelle sentimentali. Nonostante riscuotesse un buon successo con le donne e le numerose avventure, il giovane si sentiva inappagato.Fino a quando non entro  nella sua vita Liliana Castagnola, che Totò notò su alcune foto in un provocante abito di scena. L' attrice era stata costante oggetto delle cronache mondane: fu espulsa dalla Francia per aver indotto due uomini al duello, e un suo amante respinto si tolse la vita, dopo averle sparato un colpo di pistola che la ferì di striscio al viso.

Giunta a Napoli per lavoro si presentò una sera ad un suo spettacolo di Totò incuiosita di vederlo recitare. Totò non si lasciò sfuggire l’occasione ed iniziò a corteggiarla mandandole mazzi di rose con un biglietto d’ammirazione, al quale lei rispose con una lettera d’invito ad una sua esibizione.FuFu cosi che ebbe inizio un'intensa,seppur breve e tormentata, storia d’amore.Dopo il primo periodo iniziarono però i problemi legati alla gelosia: Totò non sopportava l’idea che Liliana, durante le sue tournée, fosse corteggiata dagli ammiratori, e ciò lo indusse a pensare a eventuali tradimenti, che diedero origine a continui litigi.La donna entrò in un profondo stato di depressione e la loro relazione iniziò sempre più a deteriorare. Liliana, accrescendo un senso di attaccamento morboso al suo uomo, pur di restargli accanto, propose di farsi scritturare nella sua stessa compagnia; ma Totò, sentendosi continuamente oppresso dal comportamento della donna decise di accettare un contratto con la compagnia “Cabiria", che lo avrebbe portato a Padova.Liliana, sentitasi abbandonata dall’amato, si suicidò ingerendo un intero tubetto di sonniferi.Fu trovata morta la mattina seguente nella sua stanza d’albergo, con al suo fianco una lettera d'addio a Totò.

L'attore rimase sconvolto dal suicidio della donna, si sentì in qualche modo responsabile e il rimorso lo accompagnò per tutta la sua vita, tanto che decise di seppellirla nella cappella dei De Curtis a Napoli e decretò che, qualora avesse avuto una figlia, invece di battezzarla col nome della nonna paterna (secondo l’uso napoletano), le avrebbe dato il nome di Liliana.

Nel 1930,con l'avvento del sonoro nel cinema,il regista Stefano Pittaluga,era alla ricerca di nuovi volti per il suo film Il ladro disgraziato, fece fare un provino a Totò.Ma alla fine il film non fu più prodotto e quindi fu momentaneamente accantonato il debutto di Totò nel cinema.

L'attore napoletano fondo una propria compagnia di cui era  capocomico  proponendosi nell'avanspettacolo.In tournée a Firenze conobbe Diana Rogliani, all'epoca sedicenne, dalla quale ebbe una figlia che battezzò Liliana.Gli anni Trenta furono un periodo di grandi successi per il comico che si sentiva ormai affermato: portò in scena, insieme alla sua "spalla" Guglielmo Inglese (più avanti diventò Eduardo Passarelli), numerosi spettacoli in tutta Italia. Sulla traccia di copioni spesso approssimativi, Totò ebbe modo di dare sfogo alle risorse creative della sua comicità surreale e imparò così l’arte dei guitti, ossia quegli attori che recitavano senza un copione ben impostato.

Totò fu uno dei maggiori protagonisti della stagione dell’avanspettacolo,tanto da guadagnarsi l'ammirazione degli intellettuali che lo  volevano in qualche loro progetto cinematografico.Non realizzandosi questi progetti il vero debutto nel cinema avvenne nel 1937quando Gustavo Lombardo, il fondatore della Titanus, produsse il primo film di Totò, Fermo con le mani!, diretto dal regista Gero Zambuto. Un film concepito con mezzi molto scarsi, la cui intenzione primaria era proporre al pubblico italiano un'alternativa del personaggio di Charlot, di Chaplin.

Dopo Fermo con le mani!, del quale Totò non si ritenne molto soddisfatto, ci fu, nel 1939, un secondo tentativo, che ebbe inizialmente problemi per i costi di produzione: Animali pazzi di Carlo Ludovico Bragaglia, dove Totò interpretò un doppio ruolo. Pure questo suo secondo film non fu del tutto riuscito, sebbene l'attore sfruttò al massimo le sue potenzialità "marionettistiche".

In Seguito Totò andò in tournée a Massaua e Addis Abeba, in Etiopia, accompagnato da Diana Rogliani, Eduardo Passarelli e la soubrette Clely Fiamma, presentando lo spettacolo 50 milioni... c'è da impazzire!, scritto insieme a Guglielmo Inglese Una volta rientrato in patria interpretò la a pellicola, San Giovanni decollato . Il quarto film fu L'allegro fantasma  di Amleto Palermi, dove a Totò vennero affidati tre ruoli differenti. Girato nell’autunno del 1940 , fu l’ultimo film che interpretò prima del suo ritorno a teatro.

Quando tornò al teatro, alla fine del 1940, l'avanspettacolo era già tramontato, sostituito dalla "rivista", un genere teatrale sorto a Parigi e dal carattere (almeno nel primo periodo) esclusivamente satirico.Totò debuttò al teatro Quattro Fontane di Roma insieme a Mario Castellani ed Anna Magnani, con i quali instaurò un solido rapporto artistico e umano.La rivista era Quando meno te l'aspetti di Michele Galdieri.

Nel maggio del '44, la rivista Che ti sei messo in testa (che avrebbe dovuto chiamarsi Che si son messi in testa?, un chiaro accenno ai tedeschi occupanti) creò problemi al comico napoletano, che dopo le prime rappresentazioni al teatro Valle di Roma, venne dapprima intimorito con una bomba all'entrata dal teatro, poi denunciato dalla polizia, insieme ai fratelli De Filippo. Per evitare l'arresto, Totò, dopo aver allertato i fratelli De Filippo, si rifugiò con la ex moglie Diana e la figlia a casa di un amico in via del Gelsomino nei pressi della via Aurelia, all'estrema periferia nord di Roma, mentre i De Filippo si nascosero in via Giosuè Borsi. Passati alcuni giorni Totò dovette comunque lasciare l'abitazione, per il fatto che molti suoi ammiratori lo avevano riconosciuto.Tornò a Roma, dove erano rimasti i genitori, e si segregò in casa fino al 4 giugno,il giorno della liberazione della capitale. 

Il 26 giugno riprese a recitare: tornò al teatro Valle con la Magnani nella nuova rivista Con un palmo di naso, in cui diede libero sfogo alla sua satira impersonando il Duce (sotto i panni di Pinocchio), e Hitler, che dissacrò ulteriormente dopo l'attentato del 20 luglio 1944, rappresentandolo in un atteggiamento ridicolo, con un braccio ingessato e i baffetti che gli facevano il solletico, e mandando l'intera platea in estasi.

Dopo la morte del padre, tra il 1945 e gli anni successivi Totò alternò teatro e cinematografia, dedicandosi anche alla creazione di canzoni e poesie, ma anche ad una buona lettura, diligendo in particolar modo Luigi Pirandello. Interpretò le pellicole, Il ratto delle Sabine, con il regista Mario Bonnard,  I due orfanelli i scritto da Steno e Agenore Incrocci e diretto da Mario Mattòli, poi ci furono  Fifa e arenaTotò al giro d'Italia e I pompieri di Viggiù (tutti di buon successo e incasso[); inoltre, era il tempo della rivista C'era una volta il mondo di Galdieri, composta da sketch rimasti famosi, come quello del Vagone letto, con Totò al fianco di Isa Barzizza, la soubrette che debuttò nel film I due orfanelli e che proprio Totò volle nella rivista, e Mario Castellani, la fedele "spalla" teatrale che accompagnò Totò anche nel cinema, prendendo parte a quasi tutte le sue pellicole proprio per volere di Totò.

Le differenze tra teatro e cinema crearono inizialmente non pochi disordini per l'attore, che, essendosi formato con lo stile teatrale e quindi con un'unica esecuzione dal vivo, dopo i primi ciak tendeva a perdere la concentrazione. Doveva perciò essere colto "al volo" per poter recitare al massimo.Un'altra delle differenze tra le due forme d'arte, di cui il comico ne risentì molto inizialmente, fu il fatto di non riuscire a comunicare direttamente con il pubblico. Proprio per questo, di solito, i registi e i membri della troupe lo spronavano dopo lo stop con un applauso, in modo da dargli maggiore carica ed entusiasmo. Un altro inconveniente furono gli orari. Totò, abituato agli orari teatrali, non si alzava mai prima di mezzogiorno, essendo un assertore della teoria che l’attore "al mattino non può far ridere”, girava nel cosiddetto orario francese, dalle 13 alle 21. Ciò creava non pochi problemi per le riprese.

Nella stagione 1949/1950 ottenne l’ultimo successo a teatro con la rivista Bada che ti mangio!, costata ben cinquanta milioni, che debuttò al teatro Nuovo di Milano nel marzo del '49, dopodiché Totò si allontanò dal palcoscenico per dedicarsi esclusivamente al cinematografo. Dopo I pompieri di Viggiù, lavorò anche con Eduardo De Filippo nel suo film Napoli milionaria, che accettò di interpretare senza compenso, in segno dell'affettuosa amicizia che lo legava ad Eduardo. I due attori non ebbero più modo di rincontrasi sul set, apparvero solo in episodi diversi ne L'oro di Napoli di Vittorio De Sica e fecero un breve cameo ne Il giorno più corto.

Oltre a Napoli milionaria, Totò interpretò ben altri nove film, tra i quali alcune parodie: Totò le MokòTotò cerca moglieFigaro qua, Figaro làLe sei mogli di Barbablù47 morto che parla, tutti diretti da Carlo Ludovico Bragaglia, poi L'imperatore di Capri di Luigi Comencini, Tototarzan e Totò sceicco (dove s'invaghì dell'attrice Tamara Lees) di Mario Mattòli, Yvonne la nuit di Giuseppe Amato, Totò cerca casa di Steno e Mario Monicelli, una riuscita parodia del neorealismo sulla crisi degli alloggi, che suscitò un po' d'indignazione da parte della censura.Questi film (chi più chi meno) ebbero un buon successo di pubblico, ma non di critica, che fin dall’inizio, nella maggior parte dei casi, non gradì e contrastò lo stile surreale di Totò.

 La morte dei genitori di Totò fu l’avvio di uno squilibrio familiare: nel 1951 Diana Rogliani, in seguito a un violento litigio, se andò di casa e si sposò; altrettanto fece, appena maggiorenne,  la figlia Liliana, unendosi in matrimonio con Gianni Buffardi, figliastro del regista Carlo Ludovico Bragaglia. Totò restò solo, e in quel breve lasso di tempo scrisse la nota canzone Malafemmena, che concepì durante una pausa di lavorazione del suo nuovo film Totò terzo uomo, a cui seguirà Sette ore di guai. La canzone sembra che l’abbia scritta proprio per la ex moglie Diana,alla quale era ancora molto legato, ma i giornali dell’epoca affermavano che l’avesse dedicata a Silvana Pampanini.

Nonostante le disavventure familiari, il ’51 fu un anno importante per la carriera cinematografica dell’attore. Dopo il successo di Totò cerca casa, venne richiamato da Steno e Mario Monicelli per interpretare il ruolo del ladro Ferdinando Esposito in Guardie e ladri, al fianco di quell'attore che fu uno dei suoi amici più affezionati e uno delle sue migliori "spalle"Aldo Fabrizi.Il film ebbe inizialmente problemi con la censura, ma appena uscito nelle sale fu un successo unanime: alti incassi e grande apprezzamento di pubblico e di critica, che aveva fino a quel momento snobbato se non osteggiato l’arte di Totò.Nello stesso anno l’attore interpretò, sempre per la regia di Monicelli e Steno, Totò e i re di Roma, l’unico film che vide il comico recitare con Alberto Sordi. L’anno seguente fu premiato con un nastro d’argento per la sua interpretazione in Guardie e ladri, e l'opera venne presentata al Festival di Cannes 1952, dove si aggiudicò il premio per la migliore sceneggiatura, l’anno in cui l’attore collaborò a Siamo uomini o caporali?, la sua biografia (che si ferma nel 1930 - dopo il suicidio di Liliana Castagnola) curata da Alessandro Ferraù ed Eduardo Passarelli.

Nel ’52 Totò conobbè Franca Faldini,da poco tornata dagli Stati Uniti, dove aveva preso parte al film Attente ai marinai! con Dean Martin e Jerry Lewis,i due dopo essersi frequentati per circa un mese annunciarono il loro fidanzamento. Sebbene restarono insieme fino alla morte dell’artista, la loro relazione, che non arrivò mai al matrimonio, fu più volte sull'orlo di troncare, dovuta al fatto di essere due persone caratterialmente molto diverse.Franca Faldini comparve anche nel cast di alcuni film del compagno, il primo a cui partecipò fu Dov'è la libertà?, di Roberto Rossellini.Poi insieme alla Faldini, Totò girò  Totò e le donne, nuovamente diretto da Steno e Monicelli, dove Totò recitò per la prima volta con Peppino De Filippo, con il quale formò in seguito una delle coppie più popolari del cinema italiano.

Dopo che Steno e Monicelli si divisero, entrambi realizzarono, ciascuno per proprio conto, altri film con Totò.Il primo grande risultato raggiunto da Steno fu Totò a colori - gran successo e incassi altissimi - uno dei primi film italiani a colori, in cui vennero riproposti alcuni dei suoi sketch teatrali, come quello di Pinocchio o del Vagone letto.Durante le riprese del film, Totò, a causa delle potenti luci usate sul set e alla sua vista già precaria, iniziò ad avere ulteriori problemi, fino a svenire in seguito a dei forti dolori accusati all'occhio destro, il solo con cui vedeva poiché all’altro ebbe, nel 1938, un distacco di retina.

Nel 1954, un suo brano musicale, Con te, dedicato a Franca Faldini, fu presentato al Festival di Sanremo, classificandosi al 9º posto nella graduatoria finale. La canzone venne interpretata da Achille Togliani, Natalino Otto e Flo Sandon's.

 Tra il 1953 e il 1955 interpretò diciassette film, lavorò nuovamente con Steno in L’uomo, la bestia e la virtù (dall'omonima commedia di Luigi Pirandello), dove nel cast era presente anche Orson Welles, poi con Mattòli ne Il più comico spettacolo del mondo (uno dei primi film italiani tridimensionali), e nella trilogia scarpettianaUn turco napoletanoMiseria e nobiltà e Il medico dei pazzi. Fu anche chiamato dall’amico Aldo Fabrizi che lo volle per il film Una di quelle, al fianco di Peppino De Filippo, Lea Padovani e lo stesso Fabrizi; la pellicola (ridistribuita successivamente col titolo di Totò, Peppino e… una di quelle), dal tono drammatico e sentimentale, non ottenne il successo sperato.Si incontrò nuovamente anche con Monicelli, con il quale girò Totò e Carolina, film uscito nelle sale dopo un anno e mezzo dal termine della lavorazione perché massacrato dai tagli della censura, che era infastidita principalmente dai palesi riferimenti comunisti e dal fatto che Totò interpretasse un poliziotto, e per di più in un atteggiamento che tendeva a ridicolizzarsi.

L'attore ebbe poi l’opportunità di lavorare con Alessandro Blasetti, Vittorio De Sica e anche Camillo Mastrocinque, con il quale girò molte pellicole di successo. La sua vita privata però, non scorreva tranquilla come quella di spettacolo: Franca Faldini, in seguito ad un parto drammatico, diede alla luce il figlio di Totò, Massenzio; il bambino però, nato di otto mesi, morì dopo alcune ore.

 Superato il dolore della perdita del figlio ritorna a recitare a teatro e recitò nella rivista A prescindere (che prendeva il nome da un suo modo di dire), che debuttò al teatro Sistina di Roma alla fine del '56, e che venne portata in tournée in tutta Italia. Nel mese di febbraio del 1957, a Milano, Totò venne colpito da una broncopolmonite virale, e nonostante i pareri dei medici che gli dissero di riposare, tornò sul palco dopo alcuni giorni, ciò gli causò uno svenimento appena prima di entrare in scena.I medici gli prescrissero almeno due settimane di assoluto riposo, ma Totò ritornò ugualmente a recitare esibendosi a Biella, Bergamo e Sanremo, dove cominciò ad avvertire i primi sintomi dell'imminente malattia alla vista. Il 3 maggio la situazione precipitò: mentre recitava al Teatro Politeama Garibaldi diPalermo si avvicinò alla Faldini sussurrandole che non vedeva più; contando perciò solo sulle sue abilità e sull'appoggio degli altri attori, fece in modo di accelerare la conclusione dello spettacolo. Nonostante lo sconforto e la totale cecità, cercò di resistere e, per non deludere il pubblico ritornò sul palcoscenico ,con un paio di spessi occhiali da sole, la sera del 4 maggio e, in due spettacoli, del 5. L'interruzione della rivista fu comunque inevitabile.

Totò in un primo tempo fu completamente cieco, e anche dopo dei lievi miglioramenti e una volta riassorbita l’emorragia non riuscì più a riacquisire integralmente la vista.Dovette abbandonare definitivamente il teatro, continuando però con il cinema: semicieco, ritornò sul set interpretando a catena cinque film di Camillo Mastrocinque, che raggiunse il punto più alto del suo sodalizio con l'attore dirigendo Totò, Peppino e la... malafemmina (in cui si colloca la nota scena della “lettera”) e La banda degli onesti scritto da Age e Scarpelli, con la coppia Totò-Peppino e Giacomo Furia. Malgrado la malattia, le sue capacità recitative non si affievolirono mai.

 Nel ’58 fu ospite d'onore nel programma Il Musichiere condotto da Mario Riva, con il quale aveva lavorato anni prima in alcune riviste teatrali. Durante la trasmissione l'attore si lasciò scappare un «Viva Lauro!», riferendosi ad Achille Lauro, l'allora capo delPartito Monarchico Popolare; questa sua sgradita, seppur scherzosa, considerazione politica, gli costò un allontanamento dal piccolo schermo.Riprese a lavorare nel cinema. Sempre nel '58 recitò con l’attore francese Fernandel in La legge è legge e, tra le altre pellicole, prese parte al celebre film I soliti ignoti di Mario Monicelli, interpretando lo scassinatore in pensione Dante Cruciani e recitando, tra gli altri, con Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni. Nello stesso anno gli venne assegnato il Microfono d’argento e in seguito una Targa d’oro dall'Anica, per il suo contributo al cinema italiano e per la sua lunga carriera artistica.

Nel '59 la sua salute peggiorò, durante la lavorazione del film La cambiale ebbe una ricaduta e non lavorò per due settimane, prima di concludere le riprese.Seguendo i consigli medici si concesse alcuni mesi di riposo,in cui inviò una sua canzone, Piccerella Napulitana, al Festival di Sanremo 1959, che però fu scartata.

Nel 1961 gli venne comunicato che era vincitore della Grolla d'oro alla carriera, con la motivazione: «Al merito del cinema, per aver da lunghi anni onorato l'estro e il genio del Teatro dell'Arte».

Nonostante la malattia, Totò cercò comunque di non rallentare troppo la sua già allora consistente produzione di film; e per il timore di perdere il lavoro e l'affetto del suo pubblico, cominciò ad accettare qualsiasi copione: aprì una parentesi con il regista Lucio Fulci ne I ladri e tornò con Steno nel film I tartassati, nuovamente al fianco di Aldo Fabrizi, a cui si aggiunse in un ruolo secondario l’attore francese Louis de Funès. Fu questa la fase in cui gli si affiancarono - a parte Castellani e gli apprezzati Aldo Giuffré, Aroldo Tieri e Luigi Pavese - molte altre "spalle", tra cui Nino Taranto, Erminio Macario, Gianni Agus, Ugo D'Alessio, Paolo Stoppa, Gino Cervi, Pietro De Vico e Raimondo Vianello.

 Sebbene Totò fosse quasi completamente cieco (vedeva solo dai lati degli occhi), tanto da dover indossare un pesante paio di occhiali scuri che toglieva soltanto per le riprese, si muoveva sul set con assoluta disinvoltura ed era come se tornasse, solo per un attimo, a vedere.

Tra i tanti film interpretati negli anni Sessanta, oltre ai numerosi con Peppino e alcuni con Fabrizi, di buon successo furono Totòtruffa 62 di Camillo Mastrocinque, Gli onorevoli e la commedia amara I due marescialli di Sergio Corbucci, dove recitò con Vittorio De Sica, poiI due colonnelli di Steno (ricordato per la scena della "carta bianca") e Risate di gioia di Monicelli che, pur non essendo un film totalmente riuscito, segnò una tappa importante per Totò, che fu l’unica volta che recitò sul set insieme all’amica e compagna storica di teatro Anna Magnani. Non mancarono poi le parodie, come Totò contro Maciste, Totò e Cleopatra e Totò contro il pirata nero di Fernando Cerchio, a cui si aggiunsero Che fine ha fatto Totò Baby?  di Ottavio Alessi e Totò diabolicus di Steno.Totò Esplorò anche il filone notturno-sexy insieme a Erminio Macario in Totò di notte n. 1 e Totò sexy, due tra i film più fiacchi della sua carriera. La fama che Totò vantava tra il pubblico venne anche sfruttata come una sorta di veicolo pubblicitario o di lancio per cantanti quali Johnny Dorelli, Fred Buscaglione, Rita Pavone, Adriano Celentano, e per piccoli attori come Pablito Calvo che, interprete di Marcellino pane e vino, recitò poi in Totò e Marcellino.

Al culmine della sua carriera, arrivarono proposte importanti da cineasti come Alberto Lattuada,Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Col primo fece, nel ’65, il film La mandragola, nel ruolo di Fra' Timoteo, che interpretò in modo brillante. Il secondo lo avrebbe voluto per il film Il viaggio di G. Mastorna, dove erano previsti nel cast anche Mina, Franco Franchi eCiccio Ingrassia. Lavorare con Fellini era sempre stata una delle maggiori ambizioni di Totò, ma la pellicola purtroppo non fu mai realizzata. L’incontro con Pasolini, invece, fu uno dei più importanti e inattesi dell’intera carriera cinematografica di Totò.

 La prima opera realizzata fu Uccellacci e uccellini, che Totò accettò senza condividere appieno il suo personaggio e la poetica del regista; ormai l'intento principale dell'attore era produrre opere di qualità, per la sua solita paura di essere dimenticato dal pubblico.Pasolini lo scelse perché rimase affascinato dalla sua "maschera", che riuniva perfettamente "l'assurdità e il clownesco con l'immensamente umano". Per la prima volta Totò, durante la lavorazione di un film, si sentì in qualche modo smorzato, per volere di Pasolini che gli lasciava poco spazio ai suoi lazzi e alle sue improvvisazioni, rispetto a come era solitamente abituato con le pellicole precedenti.

Prima di ritornare con Pasolini, ottenne un ruolo in Operazione San Gennaro di Dino Risi, accanto a Nino Manfredi. Nel '67 girò con Pasolini il cortometraggio La terra vista dalla luna, episodio del film collettivo Le streghe, tratto dal racconto di Pasolini mai pubblicato Il buro e la bura; poi Che cosa sono le nuvole?, un episodio del film Capriccio all'italiana, dove l’attore prese parte anche a un altro corto di Steno: Il mostro della domenica.Furono le sue ultime pellicole. Venne chiamato anche da Nanni Loy per Il padre di famiglia, di nuovo con Manfredi, in un ruolo di un anziano anarchico che vive vendendo calzini e mutande ai compagni della sinistra; film destinato a collocarsi fra i tanti progetti non realizzati da Totò, poiché girò la prima scena (per spiacevole casualità, quella d'un funerale) e morì due giorni dopo.

Nell’ultima fase della sua vita, mise in lavorazione alcuni caroselli e una serie per la Tv chiamata TuttoTotò, comprendente nove telefilm a cura di Bruno Corbucci e diretti da Daniele D'Anza.L’attore appariva però provato e lavorava non più di quattro ore nel pomeriggio, ma nonostante tutto era ancora in grado di padroneggiare la scena. Il ciclo andò in onda dopo la sua morte, dal maggio al luglio del ’67, per poi essere replicato dieci anni più tardi.Positiva fu l’accoglienza del pubblico, più fredda quella della critica.

Totò morì nella sua casa a Roma alle 3:30 del mattino (l'ora in cui era solito andarsene a dormire) del 15 aprile 1967,all'età di 69 anni: venne stroncato da un infarto dopo una lunga agonia.

Nonostante l'attore avesse sempre espresso il desiderio di avere un funerale semplice, ne ebbe addirittura tre. Il primo nella capitale, dove morì. La sua salma fu vegliata per due giorni dalle principali personalità dello spettacolo e non, giunte da tutta Italia per commemorarlo e rimpiangerlo.Tra le personalità dello spettacolo presenti, all'interno della chiesa si notarono Alberto Sordi, Elsa Martinelli, Olga Villi, Luigi Zampa e Luciano Salce, parteciparono anche i registi che lo avevano sempre ignorato, e i critici che lo avevano avversato e considerato un artista inconsistente e volgare.

Il secondo si svolse a Napoli, la sua città natale alla quale era particolarmente legato e la gioia più grande sarebbe stata proprio ritornare lì, così fu: Il 17 aprile di pomeriggio il feretro partì verso la città, scortato da circa trenta vetture. La città sospese dalle 16 alle 18,30 ogni attività, fu interrotto il traffico, i muri delle strade furono riempiti di manifesti di cordoglio, le serrande dei negozi vennero abbassate e socchiusi i portoni degli edifici in segno di lutto.Tra gli altri personaggi dello spettacolo ed amici stretti, ad attendere il feretro, c'erano i fratelli Nino e Carlo Taranto, Ugo D'Alessio, Luisa Conte, Dolores Palumbo. A causa della grande affluenza, il furgone che trasportava la salma impiegò due ore per raggiungere la chiesa di Sant'Eligio, dove si svolsero i funerali di fronte alla folla traboccante, valutata in circa 250.000 persone, tra bandiere, stendardi e corone.

Dopo il rito funebre, le autorità furono costrette a far uscire la salma da una porta secondaria, all'interno della basilica susseguirono scene di panico e anche svenimenti,ci furono quattro feriti, due donne e due agenti, in seguito all'enorme scompiglio causato. Il corpo di Totò venne così scortato da motociclisti della polizia al Cimitero del Pianto, ove ad attendere c'erano Franca Faldini, la figlia Liliana con il marito, Eduardo Clemente e Mario Castellani, che per via della straripante folla decisero di non assistere alla funzione religiosa e raggiunsero direttamente in auto il cimitero.Totò fu sepolto nella tomba di famiglia accanto ai genitori, al piccolo Massenzio e all'amata Liliana Castagnola.

Il terzo funerale lo volle fare un capoguappo del Rione Sanità, nel suo quartiere, che si tenne il 22 maggio, pochi giorni dopo il trigesimo; aderirono un altrettanto vasto numero di persone, nonostante la bara dell'attore fosse vuota.

Franca Faldini, diventata giornalista e scrittrice dopo la morte del compagno, scrisse nel 1977 il libro Totò: l'uomo e la maschera, realizzato insieme a Goffredo Fofi, in cui raccontava sia il lato artistico sia la parte privata dell'attore fuori dal set, con l'intento principale di smentire alcune false affermazioni riportate da scrittori e giornalisti riguardo la personalità dell'attore.Liliana De Curtis, la figlia del comico, è tuttora attiva per mantenere vivo il ricordo del padre.

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